martes, 11 de mayo de 2010

TEATRO EN CASAS - REVISTA MARIE CLAIRE




Home (made) theatre
A Buenos Aires l'arte trasloca nel patio.




Venerdi, 12 Febbraio 2010
È notte inoltrata a Palermo Vecchio, lo storico quartiere di chiare origini italiane. Nel tentativo di imbattersi nel Living de Marta (Il salotto di Marta) per assistere alla rappresentazione di Pecados Carnales, la città stessa rischia di trasformarsi in un gigantesco teatro, e tu in attore.
Si suona un citofono, e una ragazza appare su un balcone. È la proprietaria, ma dice che stasera la casa è tornata a essere casa, il salotto è tornato salotto, e lei non è Giulietta e noi non siamo Romeo. Una delle nuove tendenze artistiche affermatesi a Buenos Aires, il teatro domestico, dà luogo anche a questo genere di piacevoli equivoci.
È sorto e si è diffuso negli ultimi dieci anni: il teatro fatto in casa è frutto di un’inventiva incessante che pervade i cittadini di questa metropoli sudamericana sorprendente, dove le grandi crisi sembrano trasformarsi sempre in nuove opportunità. Gli anni della dittatura militare hanno costretto all’esilio o ridotto al silenzio un’intera generazione di artisti dello spettacolo. Gli anni Novanta del “menemismo” hanno decimato le compagnie indipendenti. La crisi del 2001 ha rischiato di far sparire ogni traccia di iniziativa culturale.
Eppure Buenos Aires, la città già oggi con più teatri al mondo, davanti anche a Parigi e NY, non si arrende. Oltre alle sale ufficiali della famosa Avenida Corrientes, la cosiddetta Broadway porteña, e a quelle indipendenti (“off” Corrientes), aggiunge ora anche un altro spazio culturale.
Tre diverse generazioni di artisti argentini si incontrano e si confrontano con il loro pubblico in una dimensione ridotta e inedita, in sintonia anche con l’urgenza attuale, ormai globalizzata, verso l’esplorazione di eventi micro-sociali, e l’investigazione delle dinamiche psicologiche.
Compagnie professionali, riconosciuti drammaturghi e nuove leve del palcoscenico traslocano quindi le loro opere nelle stanze, riadattate a scenari, di antiche case dei quartieri più tradizionali, approfittando della maggiore libertà derivata dalla completa autogestione.
Qui nessuno si aspetta il finanziamento della Comunità Europea, la borsa di studio o il posto fisso. Non che dispiacerebbe, ma non è aria. L’arte di arrangiarsi, il talento e la creatività, sono costantemente coltivati e stimolati da queste parti, insieme a una certa incoscienza e gusto per il rischio. In queste condizioni non è una scelta facile dedicarsi a qualsiasi tipo di arte.
È anche una questione di cultura, e a Buenos Aires la cultura del teatro è presente a tutti i livelli e in tutti gli strati sociali. Frequentare un corso di recitazione e provarsi su un palcoscenico è tra i giovani quasi così normale come giocare a pallone o avere una banda di musica. Tra tanti che provano, molti resistono, e tra questi, alcuni di valore.
Di attori e registi argentini consacrati, è già invasa la Spagna. Uno di questi è Claudio Tolcachir, fondatore del teatro/casa Timbre 4, da mesi a Barcellona con la sua opera La omision de la familia Coleman. «È come nel calcio», dice Tolcachir. «Tra tanti giocatori qualcuno buono emerge».
Il giovane regista argentino dice di sentirsi partecipe di un movimento e di un momento artistico importanti, ma anche «erede degli autori che hanno cominciato 80 anni fa con il teatro indipendente, e di quelli che si sono giocati la vita per il teatro durante la dittatura».
Poi c’è Monica Benavidez. Ha riadattato un classico del drammaturgo svedese Strindberg, Il pellicano, con una sorprendente messa in scena. Pochi accorgimenti, una sapiente scenografia e un’accurata scelta degli interpreti hanno trasformato un torrido angolo di Sudamerica in un gelido contesto scandinavo. «Il fatto che fosse una casa mi ha permesso di recuperare lo spirito del teatro intimista, quasi da camera, proprio della concezione di quest’opera», spiega la giovane regista.
L’architettura delle tipiche case antiche di Buenos Aires, una specie di stile coloniale inserito in un contesto metropolitano, ha favorito questa innovazione. I cosiddetti “ph”, acronimo che definisce le “proprietà orizzontali”, dette anche “case salciccia” (casas chorizos), sono unità strutturate su un intero lotto rettangolare che può arrivare a una dimensione massima di circa 350mq, e che hanno dimostrato di avere un’eccellente duttilità.
La disposizione in lunghezza fa sì che generalmente si trovi una successione di stanze lungo un patio laterale, e dall’unione di due o più di queste si possono ricavare ampi spazi. Ingressi trasformati in biglietterie, patii come foyers, resti di scenografie a decorare ambienti di passaggio onirici introducono e l’ospite/spettatore alla successiva esperienza drammatica, come nel caso della splendida casa-teatro Querida Elena, nel quartiere della Boca, un’opera d’arte a se stante.
Abbiamo iniziato in una cantina e adesso stiamo al secondo piano», ironizza Leandro Rosati, il creatore del teatro/casa Medio Mundo Varietè. Attore e drammaturgo, ha un curriculum che attraversa la storia dell’arte “under” argentina degli ultimi 30 anni, miscuglio di teatro, pittura, cinema e musica rock.
Il suo Mezzo Mondo è arrivato anche a stare sulla famosa Avenida Corrientes, la Broadway di Buenos Aires, ma oggi è rimasto confinato al secondo piano di una bella palazzina in stile francese del quartiere Balvanera. Non si lamenta, ma nella sua voce e nel suo sguardo traspare sempre una certa amarezza: «Si fa il teatro a casa perché altrimenti non si riesce a produrre nulla».
E produrre non è che poi dia da vivere, anche a salotto pieno. Si tratta di passione pura, alimentata dall’incessante coinvolgimento di nuove generazioni di aspiranti attori ai seminari e corsi di recitazione da lui tenuti. Gli stessi giovani che poi assistono agli spettacoli e che Leandro saluta per nome da dietro l’improvvisato scrittoio-botteghino.
Nato nel 2001, in piena tormenta politica ed economica sulle ceneri di una vecchia fabbrica di scarpe domestica, Timbre 4 è oggi, tra le sale indipendenti di Buenos Aires, quella maggiormente consolidata. Il suo fondatore, Claudio Tolcachir, di soli 34 anni, è uno degli autori più quotati in Argentina, apprezzato per l’acume delle sceneggiature e la capacità di valorizzare giovani attori.
Eppure, nonostante adesso lo chiamino per adattare con il suo stile originale opere di successo del circuito commerciale, Tolcachir non pensa a rinunciare al suo teatro, dove funziona anche una scuola ormai rinomata. Anzi, progetta di ingrandirlo con una nuova sede.
Ne ha bisogno, dice: «Il teatro indipendente serve per prendere rischi e provare cose nuove, è il mio spazio per creare». Mentre lui è attualmente in tournée in Spagna, il teatro programma l’ottimo Fuera de Casa, ideato e diretto dagli alunni della scuola.
«Il paradosso della clandestinità dell’arte in tempo di democrazia». Così il giovane e talentoso drammaturgo Matias Feldman, definisce la situazione dello Spazio Bravard, da lui creato insieme ad altri due compagni di viaggio. Eppure non se ne lamenta, anzi. Sembra coltivare la clandestinità, centellinando la divulgazione del suo teatro, affidata esclusivamente al passaparola.
«L’utilizzo di un luogo proprio, con le proprie regole e i propri tempi di realizzazione, costituisce la condizione ideale per la sperimentazione», afferma. Seduto tra gli spettatori della sua stessa opera drammaturgica, Reflejos, Matias mi sorprende con fragorose risate alle battute più esilaranti del copione. «Era parecchio che non la vedevo», si è poi scusato.
Buenos aires è una delle poche città capaci anche di ispirare una mitologia contemporanea, fatta di caratteri e personaggi paradigmatici, e incarnata tanto nei versi del tango più popolare come nella raffinata scrittura di Borges. Non stupisce quindi la scoperta, proprio qui, di una nuova musa dell’arte: il giorno che una giovane coppia di artisti, passeggiando per l’antico quartiere della Boca in cerca di una casa dove mettere su famiglia e coltivare i suoi sogni, si è imbattuta casualmente in una vecchia pensione in vendita.
«La casa, comprata nel 2004 con poche decine di migliaia di dollari, era un hotel per famiglie povere gestito da tre sorelle" racconta Eduardo Spindola, artista, attore, scenografo, fabbro, scultore e architetto a seconda delle necessità. "Messo piede dentro, abbiamo trovato centinaia di lettere. Tra tutte una in particolare ci è sembrata di buon auspicio, e diceva così: "Cara Elena, desidero che tutti i tuoi sogni si avverino. Sono immensamente felice".
Poteva scegliere un altro nome per il suo nuovo spazio, ma si trattava di assecondare il destino già scritto su un foglietto: nasce così Querida Elena Sencillas Artes.
Eduardo, arrivato a Buenos Aires dall'Uruguay nel 1984 a causa del governo militare, oggi ha 44 anni, e sembra aver realizzato i suoi sogni. Ispirato dalla musa, ha trasformato in pochi anni la casa in un'opera d'arte che a sua volta contiene e crea incessantemente arte.
Ludovico Mori












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